Nel 1929 la politica di collettivizzazione agricola forzata promossa da Stalin costrinse milioni di contadini russi a consegnare allo Stato bestiame, attrezzi e ogni scorta alimentare fino all’ultimo chicco di grano. È l’inizio di una catastrofica carestia, la più letale nella storia d’Europa, che causò, tra il 1931 e 1933, oltre 5 milioni di vittime, in gran parte nella Repubblica socialista sovietica di Ucraina, una delle più popolose dell’URSS.
Un vero e proprio «sterminio per fame» (in ucraino, «Holodomor»), frutto della criminale operazione architettata dal governo di Mosca e attuata con particolare ferocia nel «granaio d’Europa»: la proprietà collettiva era infatti uno dei pilastri del marxismo-leninismo professato dal Partito comunista sovietico e la campagna doveva fornire ogni possibile risorsa alla crescita delle città e dell’apparato industriale e militare del Paese.
Dell’erronea valutazione del limite invalicabile oltre il quale il contributo delle campagne si sarebbe capovolto in un’immane strage di vite umane, Anne Applebaum incolpa l’arbitro assoluto di ogni decisione, Stalin, sordo alle suppliche dei dirigenti comunisti ucraini e ai circostanziati rapporti della polizia segreta che lo informavano della situazione sempre più critica della popolazione. E spiega l’accanimento contro il popolo ucraino e la rancorosa rivalsa nei confronti di coloro che, durante la guerra civile degli anni 1918-1920, avevano avanzato pretese d’indipendenza proclamando l’effimera Repubblica nazionale ucraina, fautrice di una rinascita culturale e linguistica autoctona, tornata minacciosamente in auge nei primi anni Trenta in quella terra da sempre contesa.
Di questa tragedia, occultata per decenni in Unione Sovietica e sepolta altrove sotto una cortina di silenzio, Anne Applebaum offre una ricostruzione vivida e impressionante, rigorosamente basata su documenti governativi desecretati e testimonianze inedite dei sopravvissuti. Una crudele verità storica in cui sono visibili sottotraccia le radici dell’odierno conflitto armato che oppone l’Ucraina, in cerca della propria identità di nazione, e la Russia; e dietro cui trapelano, nell’atteggiamento dei «nuovi zar» del Cremlino di allora e di oggi, gli inquietanti sintomi di una comune volontà genocidaria.
Anne Applebaum (Washington 1964), giornalista e saggista statunitense, naturalizzata polacca, è stata tra l'altro editorialista del «Washington Post», vicedirettore e capo dei servizi esteri dello «Spectator» e corrispondente da Varsavia per l'«Economist». Ha scritto Between East and West (1994), resoconto di un viaggio attraverso Lituania, Ucraina e Bielorussia compiuto all'indomani del crollo dell'Unione Sovietica, Gulag (premio Pulitzer nel 2004) e La cortina di ferro (2012).
“È stato un argomento segreto per decenni. Ora in Russia e Ucraina ci sono targhe commemorative, statue, dibattiti.
I sopravvissuti, e i loro figli, portano avanti la memoria. Fuori da questi due Paesi, però, se ne parla ancora troppo poco. Non dobbiamo mai dimenticarci, soprattutto in tempi tesi e incattiviti come quelli in
cui viviamo, che i totalitarismi sono iniziati con le polarizzazioni e le divisioni. Si punta il dito contro uno specifico gruppo di persone e si innesca un odio molto pericoloso. Ho lavorato a lungo su questo
volume. All’inizio il mio editore aveva dei dubbi. Poi nel 2014 ci sono state l’invasione della Crimea e lo scoppio del conflitto russo-ucraino e allora lo ha reclamato”.
(Anne Applebaum intervistata da Micol Sarfatti su Sette, Corriere della Sera)